Estratto dal Catalogo “Innocenzo Odescalchi”
by Gianluca Marziani
Le opere prendono forma nel silenzio della distesa concentrazione e raccontano le pelli cromatiche della VITA INTERIORE. Quasi che un occhio di caravaggesca memoria sia sceso nel microcosmo del pigmento, ingrandendo alcuni centimetri di una vecchia tela, cercando l’anima dentro la materia, catturando l’energia che non muore mai. I.O. si comporta come uno scandaglio astratto che perimetra la vitalità mentale nei muri scrostati, negli affreschi umidi, nei soffitti e pavimenti, nei brandelli di bellezza antica.
Lo stesso termine “astrazione” inverte ora la sua etimologia e si trasforma in un moto spirituale dentro la realtà figurativa del mondo. Qui le astrazioni non rispecchiano gli stilemi dell’espressionismo astratto, la tensione informale, il rigore avanguardistico tra America ed Europa nel dopoguerra. I.O., al contrario, procede con l’autonomia di chi si rafforza nel radicale isolamento dal “troppo”degli esterni mediatici.
E non si tratta di ignorare la storia ma solo le cose che disturbano la quiete turbolenta della ricerca individuale. L’artista romano valuta maestri e citazioni, analizza gli archetipi che lo influenzano, rivede le vicende note del linguaggio astratto. Però conosce anche le proprie esigenze, gli impulsi della coscienza, la vitalità oltre il dato enciclopedico. La sua arte dialoga con la storia per poi scavalcarla attraverso le emozioni di una sensibilità armonica, pittoricamente musicale, sgranata come un secco free jazz alla Ornette Coleman. I.O. rende l’opera un DIARIO DELLA PROFONDITA’. La grammatica è, appunto, quella delle avanguardie, le parole rincorrono il necessario passato: ma le frasi visive appaiono ormai autonome, personali, taumaturgiche rispetto al caos del mondo.